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*** Brano ***

 

Padre Serafino aveva una reputazione ambigua pres­so i monaci vicini. Alcuni l’accusavano di levitare, al­tri di latrare, altri ancora lo consideravano un contadi­no ignorante, altri come un autentico staretz ispirato dallo Spirito Santo, capace di dare consigli profondi e di leggere nei cuori.

Quando si arrivava alla porta del suo eremo, padre Serafino aveva l’abitudine di osservare il nuovo venu­to nel modo più sfacciato: dalla testa ai piedi, durante cinque minuti, senza rivolgere la minima parola. Colo­ro che non fuggivano di fronte all’esame potevano al­lora udire la sferzante diagnosi del monaco: «Non è sceso al di sotto del mento». «Non parliamone. Non è nem­meno entrato». «Non è possibile, che meraviglia! E sceso già fino alle ginocchia».

Egli parlava, ovviamente, dello Spirito Santo e della sua discesa più o meno profonda nell’uomo. Qualche volta nella testa, ma non sempre nel cuore o nelle vi­scere... Giudicava così la santità di qualcuno, dal gra­do di incarnazione dello Spirito. Per lui, l’uomo per­fetto, l’uomo trasfigurato, era quello interamente abi­tato dalla Presenza dello Spirito Santo, dalla testa ai piedi. «Questo l’ho visto una sola volta, presso lo sta­retz Silvano. Lui, diceva, era veramente un uomo di Dio, pieno di umiltà e di maestà».

Il giovane filosofo era ben lontano da tali traguar­di: in lui lo Spirito Santo si era fermato, o piuttosto non aveva trovato passaggio che «fino al mento».

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